Incontro educatori/catechisti 03 agosto 2020
- METAFORE PER NON DIMENTICARE
La ‘forzata clausura’ ci ha fatto passare dall’ansia di un’agenda sempre piena all’angoscia di un’agenda sempre più vuota. Ora rischiamo di cadere nella tentazione di riempire spazi vuoti, pensando di dover ricominciare a fare tutto come prima. Ma il modo di stare in questo mondo, non solo non sarà, ma non dovrà essere quello di prima.
Forse bisognerà aprire spazi più che occuparli, imparare a “custodire i vuoti e ad abitarli”. Proprio questi vuoti ha permesso a tanto bene di riemergere, basta pensare alla generosità di tante persone, ai momenti di preghiera e di ascolto della Parola in famiglia, ai ‘collegamenti’ per condividere con gli altri sentimenti, paure e speranze.
La teologa Stella Mora dice che il tempo che stiamo vivendo è come una bassa marea che ha lasciato emergere tutto quello che sta nei fondali: tante bellezze ma anche tante sporcizie! A questo punto è necessario fare pulizia, smaltire. Papa Francesco ci ha richiamato spesso sul fatto che questo è il “tempo delle scelte”, per capire cosa conta e cosa si può eliminare. Forse c’è da alleggerire un cumulo di attività, che rispondono al bisogno religioso ma soffocano le relazioni bisognose di spiritualità. C’è bisogno di una fede semplice: quotidiana, sostenibile, laica.
Paolo De Benedetti, teologo e biblista, ne libro intitolato “Ciò che tarda avverrà” (Qiqaion 1992) racconta la storia di una bara che usci da Gerusalemme. Nella bara c’era Jochanan ben Zakkaj, il rabbi che nel 68 d. C., consapevole dell’ineludibile destino che segnava la città e il tempio, incendiati e distrutti due anni dopo, si finse morto e così riuscì ad uscire da Gerusalemme portando con sè solo la Torah, il rotolo della Parola di Dio. Vespasiano faceva uscire dalla città assediata solo i morti per timore dei contagi. Il rabbi presentatosi poi a Vespasiano ottenne che il modesto sinedrio di Javne, l’attuale Tel Aviv, fosse risparmiato e lì rifondo il giudaismo come il popolo della Torah, un popolo senza terra, senza re, senza tempio, ma fondato sulla parola. La grandezza di Jochanan ben Zakkaj sta nell’aver individuato quello che si poteva conservare e quello che si doveva abbandonare per conservare il tutto (lettura dei segni dei tempi). L’amore potrebbe essere l’unica cosa che conta e da salvare!
Se non mostriamo al mondo un volto del cristianesimo completamente nuovo, forse le chiese vuote di questo tempo potrebbero essere un’anticipazione di quanto avverrà! Anche noi siamo chiamati a cogliere i segni dei tempi, a metterci in ascolto di quanto lo Spirito dice alle Chiese (cfr Apocalisse) prima di pensare a come vivere l’evangelizzazione e la catechesi, l’iniziazione cristiana dei fanciulli.
- NON E’ UNA PARENTESI
Alcuni spunti tratti dall’articolo Derio Olivero, vescovo di Pinerolo, nel libro “Non è una parentesi. Una rete di compici per assetati di verità” Effatà editrice.
Il tempo che stiamo vivendo è un tempo che urla e che chiede, non di tornare come prima, ma di cambiare. Già prima del Covid non avevamo fiducia nel futuro, anzi lo vedevamo come una minaccia, oggi il regalo che possiamo fare al mondo è quello di suscitare fiducia. Questa fiducia nel cristianesimo nasce dalla fede in un Dio paziente, che non molla mai, per cui nessun limite ci distruggerà, nemmeno la morte. Gli strumenti per coltivare la fiducia non ci mancano: la parola di Dio, i sacramenti, la comunità! Così saremo fattivamente e generativamente vicini agli altri, per una speranza che contagia. Occorre far trasparire quel di più che non è merito nostro, un di più che riceviamo e ci rende così.
In tutto questo vitale è la relazione. Veniamo da una mentalità individualista (Recalcati: un uomo pensato come consumatore e spettatore), in cui le relazioni erano considerate un di più, quasi un optional che abbellisce la vita.
Ma l’uomo è pensabile solo in relazione per cui il ‘farsi prossimo’ non è per essere bravi cristiani, ma perché “sono veramente io soltanto se entro in relazione e mi regalo” (Pierangelo Sequeri: non chi sono, ma per chi sono, è l’essenza della mia identità!). Si è se si esiste per qualcuno. Il lockdown sotto questo punto di vista è stato una forte provocazione: in questo isolamento ci siamo resi conto che le relazioni ci sono mancate come l’aria.
Riscoprire le relazioni vuol dire farsi prossimo cioè ricominciare a credere nella comunità degli uomini, nel paese, nella città, nel quartiere e sentirci parte attiva, standoci da adulti, provando ad essere un po’ più essenziali e mettendoci qualcosa di nostro. A livello ecclesiale, si può sintetizzare con l’espressione di papa Francesco: essere “chiesa in uscita”. Ma attenzione, non si tratta di uscire per andare a prendere i lontani e riportarli dentro, pensandoli come persi e dannati. La Chiesa in uscita è una chiesa che esce per stare fuori, umile, gioiosa, contagiatrice di speranza. E’ chiaro che in tale uscita diventa essenziale il ruolo dei laici: occorre declericalizzare la chiesa! La figura ‘più piena’ della Chiesa è il ‘cristiano e basta’, cristiano che abita spazi diversi, a cominciare dalla famiglia. Non cristiani devoti (termine che richiama intimismo, individualismo, ideologia), ma credenti e credibili, che sanno mettere al centro la spiritualità (non il semplice andare a Messa ma cura dell’interiorità, delle domande, del pensiero, del silenzio, dello stupore..).
Si tratta di generare una ‘chiesa estroversa’, che va a tutti, una comunità di impegnati e praticanti che guarda con simpatia i non praticanti. In parrocchia non ci si può ridurre a ‘far funzionare la macchina’, ricoprendo tutti i ruoli, ma si deve lavorare perché la comunità cristiana sia a servizio di tutti gli uomini e le donne. Dietrich Bonhoeffer dice che “la chiesa è l’unica società che esiste per coloro che non vi fanno parte”.
La Chiesa quindi non è un’organizzazione ma un insieme di relazioni. A volte si ha la sensazione che le cose da fare prevalgono sulla cura della fraternità: a cosa serve una catechista che pianifica, organizza, programma ma non vive la bellezza dell’essere parte del gruppo educatori. “Abbiamo bisogno di creare in parrocchia un luogo dove sia bello ritrovarsi, dove si possa dire: “Qui si respira un clima di comunità, che bello trovarci!”.
Come comunità cristiana, come educatori, catechisti, come muoverci?
Possiamo provare ad iniziare processi e ad assumere la logica del dono.
Papa Francesco nella Evangelii Gaudium ci ha detto che non dobbiamo occupare spazi ma avviare processi (Il tempo è superiore allo spazio n. 222-225). Avviare processi vuol dire aiutare le persone a camminare verso obiettivi comuni.
Cosa vuol dire questo per quanto riguarda l’annuncio e la catechesi?
La dimensione relazionale non si regge sulla logica dello scambio: “io ti do, tu mi dai”. Dobbiamo riscoprire che è il dono che fa girare il mondo. Per essere pagati basta fare le ore previste e ciò che è richiesto, ma sono quel po’ di passione, di cuore, di generosità, di dono a suscitare l’apprezzamento e l’ammirazione.
Cosa vuol dire pensare ad una pastorale ‘a fondo perduto’ e ‘ a lungo termine’?
- NON PERDERE DI VISTA
Per quanto riguarda l’annuncio del Vangelo e la catechesi credo che sia opportuno non perdere di vista alcune dimensioni. In maniera sintetica alcuni spunti dal laboratorio sulla catechesi fatto con i ragazzi durante il mese di luglio:
IL PERCHE
Le finalità del cammino: annunciare e testimoniare anche ai più piccoli la persona di Gesù offrendo un’organica esperienza di vita ecclesiale e di impegno missionario, rispondente all’età, in modo che si sentano corresponsabili e si impegnino a seguire, in modo unico e originale il Signore.
Le mete formative:
- Il rapporto interiore e personale con Gesù
- La fraternità che porta al dono di se
- La responsabilità
- La vita nella Chiesa
- La testimonianza missionaria tra coetanei e nei propri ambienti di vita.
Il cammino di iniziazione cristiana: il processo globale attraverso il quale si diventa cristiani. Si tratta di un cammino diffuso nel tempo e scandito dall’ascolto della Parola, dalla celebrazione e dalla testimonianza dei discepoli del Signore, attraverso il quale il credente compie un apprendistato globale della vita cristiana e si impegna ad una scelta di fede e a vivere da figlio di Dio, ed è assimilato con il Battesimo, la Confermazione e l’Eucaristia, al mistero pasquale di Cristo nella Chiesa. Suo approdo non è la celebrazione dei sacramenti (sono momenti fondamentali del cammino) ma la vita cristiana nella sua globalità e interezza.
IL COME
La centralità della persona: i ragazzi vanno guardati nella globalità della loro vita e come soggetti del cammino formativo, senza idee preconcetti e stereotipi.
Attenzioni costanti dell’educatore:
- Valorizzare il primato dell’essere sull’apparire: essere se stessi
- Crescere nella cura dell’interiorità: la vita come dono del Signore
- Sviluppare l’accoglienza di se stessi e degli altri: consapevolezza di se, e apertura.
- Avere cura delle relazioni: coltivare il dialogo, comunicazione interpersonale e perdono
- Favorire il protagonismo dei ragazzi: non solo oggetto ma soggetto della pastorale.
La dimensione esperienziale: La Parola di Dio si fa strada dove ci sono più domande che certezze. Occorre valorizzare la vita dei ragazzi partendo dai loro desideri più profondi, le attese e le delusioni, le gioie e le speranze così da permettere a Gesù di entrare nelle loro vite dando senso ad ogni esperienza. E’ necessario saper proporre un itinerario formativo che sappia leggere tutta la realtà dei ragazzi nella sua interezza e nei loro ambiti di vita, nelle loro giornate, per poter educare all’interpretazione del vissuto quotidiano alla luce della Parola di Dio.
L’esperienza è punto di partenza per un cammino di conversione che dura tutta la vita. Al centro vi è la realtà dei ragazzi, la ricerca in essa dei segni della presenza dello Spirito Santo, la realizzazione dell’incontro col Risorto e la maturazione degli atteggiamenti evangelici, per far lievitare il quotidiano nella realtà del regno di Dio.
IL METODO
Partire dalla vita per tornare alla vita attraverso l’incontro salvifico e trasformante con Dio, nella Parola, nei Sacramenti e nella Testimonianza.
- La realtà dei ragazzi come punto di partenza: guardare con sguardo cristico ciò che si vive, riconoscere la presenza di Dio, le proprie difficoltà e i doni ricevuti.
- L’accoglienza della Parola di Dio: luce che rivela, propone la bellezza di una vita in Cristo e la rinnova con la sua forza.
- La vita di gruppo: confronto coni compagni e e con la comunità, nell’approfondimento dei documenti della fede, di celebrazione e preghiera, di nutrimento nei sacramenti, di servizio ai fratelli che è missionarietà.
- La trasformazione della vita: maturazione di atteggiamenti evangelici in modo che la propria vita si conformi a quella di Gesù, rivelandone il volto nella quotidianità semplice del proprio essere ragazzi.
Carissimi in questo tempo di vacanze, riflettiamo un po’ su queste cose, confrontiamoci, preghiamoci per poter cominciare un’esperienza nuova di annuncio e trasmettere a tutti la gioia del vangelo. Grazie.