- IN QUELLA NOTTE IO PASSERÒ PER LA TERRA D’EGITTO
La storia di questo nostro mondo è attraversata da tante notti. Per il popolo di Israele c’è una notte speciale, diversa, indimenticabile: quella della Pasqua! Il popolo schiavo in Egitto sperimenta il passaggio di Dio e finalmente inizia il suo cammino verso la libertà. Ma la notte avvolge, anche nel nostro tempo, con le sue tenebre, la storia di tanta gente: quante guerre fratricide, quante vergognose ingiustizie, quante morti in un mare, che non si apre come il mar rosso, per far passare chi va in cerca di una vita migliore. Ecco perché siamo qui, in questa notte, perché anche noi attendiamo il passaggio del Signore per iniziare il cammino verso la pace, verso un mondo più giusto e fraterno. Come l’antico popolo, ci siamo radunati attorno alla mensa per cibarci dell’agnello, così da avere la forza per salire fino al calvario, e conoscere l’amore che vince la morte.
- QUELLO CHE IO FACCIO, TU ORA NON LO CAPISCI; LO CAPIRAI DOPO.
Il cammino verso la pace ce lo indica Gesù, con un gesto che compie durante l’ultima cena pasquale e che i discepoli non capiscono. In questo tempo il Papa ci ha invitati più volte ad essere una chiesa sinodale. cioè a camminare insieme. A volte pensiamo che per affrontare e risolvere i problemi ci vuole la testa, magari anche il cuore, potrebbe sembrare strano ma Gesù questa sera ci dice che ancora più necessari sono i piedi, forse la parte del corpo che riteniamo meno nobile, eppure grazie ad essi possiamo vivere il pellegrinaggio che ci porta al vero santuario che è l’altro. Non nello scontro, ma nell’incontro con l’altro tutto diventa più facile, tutto si può risolvere. Si tratta di arrivare fino ai piedi dei fratelli e delle sorelle, di inginocchiarsi e compiere gesti di accoglienza pieni di tenerezza: versare dell’acqua tiepida, asciugare con un panno pulito, baciare con dolcezza. Così la liturgia, più che con le parole, con i gesti, ci indica la strada per ritrovare la luce che rischiara le notti: non nel sottomettere gli altri, ma nel piegare le ginocchia per servire chi la provvidenza ci fa incontrare. Avrete notato come, colui che presiede l’Eucarestia, si inginocchia davanti all’ostia consacrata, ma questa notte vedremo come si inginocchia anche davanti ai piedi di dodici fratelli e sorelle. E’ interessante tutto questo: si compie lo stesso gesto di fronte a Gesù Eucarestia e ai piedi dei fratelli! E’ proprio così: Gesù è vivo e presente nel sacramento dell’Eucarestia come nei fratelli e nelle sorelle che incontriamo. Non a caso l’evangelista Giovanni sostituisce il racconto dell’ultima cena con la lavanda dei piedi. Qui è racchiuso il segreto per arrivare alla pace! Questo è l’unico modo per far venire alla luce un mondo diverso! Ecco la pasqua: non mettere gli altri sotto i propri piedi ma abbassarsi fino loro piedi, non per dominare ma per servire, non per insanguinare ma per accarezzare.
Chissà se quel giovedì santo, dopo che Gesù aveva lavato loro i piedi, qualche discepolo ha preso il catino e l’asciugamano per lavare quelli del Maestro!? Certo, racconta il vangelo che quando Cristo apparve risorto, il mattino della risurrezione, le donne, queste straordinarie donne, segno della Chiesa sposa, non seppero fare di meglio che lanciarsi sui piedi di Gesù e abbracciarli: “avvicinatesi, gli cinsero i piedi e lo adorarono”. La Pasqua è tutta qui nell’abbracciamento dei piedi del Vivente, che continua a camminare in mezzo a noi sulle strade di ogni tempo, e farlo con un atteggiamento adorante.
- SIGNORE, TU LAVI I PIEDI A ME?
In questi giorni sono andato a rileggere alcuni scritti di don Tonino Bello del 1989, dal titolo “Verso la Pasqua, terra di speranza”. Meditando sul gesto di Gesù del giovedì santo si sofferma sui piedi di alcuni apostoli. Primo fra tutti i piedi di Pietro. E il pensiero va al suo successore, alla sua fatica nel camminare proprio tra coloro che dovrebbero sostenerlo. Questa notte pieghiamoci idealmente sui piedi di papa Francesco, per lavarglieli, per dirgli che lo amiamo, che gli vogliamo bene. Quanto deve soffrire a motivo di chi, come i farisei e gli scribi facevano con Gesù, ritenendosi più religiosi degli altri lo accusano, lo giudicano, lo crocifiggono. Pieghiamoci idealmente anche sui piedi dei nostri pastori, i Vescovi, i preti, perché forse a volte hanno i piedi più sporchi degli altri, e procedono scoraggiati e stanchi, addolorati per quel gallo che nella notte canta ricordando alcuni rinnegamenti.
Ma Gesù si piega anche sui piedi di Giuda, con la stessa tenerezza con cui lava quelli degli altri apostoli.
A volte abbiamo qualche riluttanza nel piegarci sui piedi di chi ha sbagliato in modo pesante, pensiamo che non meritano gesti di amore, dimentichiamo che il male non si vince ribadendo quali sono le regole da osservare, ma con un supplemento di bene. Certo è difficile per un marito piegarsi sui piedi della moglie da cui si è dolorosamente separato, per un insegnate piegarsi sui piedi di un alunno svogliato e dal profitto scadente, per un genitore piegarsi su un figlio che ha sperperato tutto per una mortifera dipendenza. Ma la pace passa anche da qui, dal chinarci anche su chi tradisce perché non vada ad appendersi ad un ramo, ma rinasca a vita nuova dall’esperienza di un amore non meritato.
E dolce poi immaginare Gesù piegato sui piedi di Giovanni, l’apostolo più giovane, quello che ha reclinato il capo sul suo cuore. E il pensiero va ai nostri ragazzi, come quelli che stasera sono qui, quelli che si stanno preparando alla prima comunione, ai nostri giovanissimi che chiedono il sacramento della Cresima, ma anche ai tanti giovani scomparsi dalla vita della comunità e su cui avevamo riposto la nostra speranza. Siamo diventati specialisti nel fare le analisi della situazione, siamo capaci di dare tanti giudizi accompagnati da tristi lamentele, ma quando è difficile servirli davvero la gioventù! Eppure una comunità che non si mette a servizio delle nuove generazioni rischia di non avere futuro! Gli occhi vispi di questi bimbi, i volti belli dei nostri ragazzi, la nostalgia di Dio, a volte inconscia, di tanti giovani, ci chiedono di metterci a loro servizio, disinteressatamente e generosamente, perché non siano soltanto gli uomini e le donne del domani, ma la ricchezza del presente.
E infine prendiamo in considerazione Bartolomeo o Natanaele, l’uomo giusto, colui nel quale il Signore non riscontra falsità. Ci fa pensare ai nostri anziani. Quest’anno proprio a dodici di loro laveremo i piedi. Sono tanti gli anziani nella nostra comunità e sono così preziosi per la loro saggezza che viene dall’esperienza, per l’incessante preghiera con cui ci accompagnano, per l’impegno a mantenere accesa la luce della fede in tante famiglie in cui si va spegnando. Visitando le famiglie per la benedizione pasquale molti, impossibilitati ad uscire per gli acciacchi dell’età, mi raccontavano come è motivo di sofferenza per loro non poter partecipare alla preghiera comune o svolgere quei servizi a cui erano abituati. Molti si sentono soli e a volte messi da parte. Il gesto che compiamo stasera vuole dire la nostra gratitudine e, nello stesso tempo, il nostro impegno a servire questi nostri fratelli e sorelle che ci hanno servito e continuano a farlo con la loro preghiera. Ci ricordano così che non basta lavare i piedi agli altri ma che bisogna farlo con atteggiamento orante. Cari fratelli e sorelle anziani grazie perché ci siete e perché in qualche modo continuate ad accompagnarci.
- IO HO RICEVUTO DAL SIGNORE QUELLO CHE A MIA VOLTA VI HO TRASMESSO
Se la comunità deve farsi attenta a chi è anziano, proprio ad essi, come ad ogni adulto, la comunità chiede di poter dire con l’apostolo Paolo: “io ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso”. Oggi più che mai c’è bisogno di chi trasmette la fede ricevuta, senza tanti fronzoli, ma in quell’essenzialità che troviamo nell’Eucarestia. E’ necessario proclamare che Gesù è il Cristo, che è vivo e presente in mezzo a noi e che ci ama a tal punto che continua a ‘spezzare’ la sua vita per noi perché diventi cibo di eternità. Carissimi, per noi cristiani non è un optional l’Eucarestia domenicale, dice l’apostolo: “ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga”. Abbiamopiù che mai bisogno che il Signore passi dentro la nostra storia perché la notte diventi giorno.
Carissimi papà, carissime mamme di questi ragazzi, non accompagnate i vostri figli fino alla porta della Chiesa, fermatevi con loro a Messa…tutti abbiamo bisogno della Parola di Dio e del pane del cielo per ritrovare la pace, per mantenere la famiglia unita, per non perdere la gioia del vivere. Tutti abbiamo bisogno di sentirci amati così come siamo ed è bello quanto ci ricorda nella lettera ai Corinzi l’apostolo Paolo riferito a Gesù: “nella notte in cui veniva tradito, prese del pane…prese il calice”. Il tradimento purtroppo non appartiene solo a Giuda, ma a questa umanità, alla nostra umanità, incapace di amare. Come fa male suonare i campanelli delle case delle parrocchia per la benedizione pasquale e sentirsi rispondere “non siamo credenti”, come fa male a scuola sentire ragazzine e ragazzini affermare con faciloneria e superficialità “sono ateo”, come fa male vedere le chiese sempre più vuote…ma c’è una speranza che ci accompagna questa notte…Gesù “nella notte in cui veniva tradito, prese del pane…prese il calice”, cioè benchèrinnegato e abbandonato, continua ad amarci ed è questo amore che genera in noi tanta speranza. Prima o poi finirà la notte di questo mondo, vedremo la luce, conosceremo la pace, ameremo la vita…e questo solo perché Dio non si stanca di amarci.
- …E LO ADORARONO
Al termine della celebrazione vivremo un momento di adorazione. Nella cappella della reposizione troveremo i colori che hanno caratterizzato il tempo di Natale: i colori del mare, con le onde alte che sembrano quasi affondare la barca della Chiesa; i colori del cielo che, con le sue stelle, dà la possibilità di orientarsi in mezzo alle tempeste che registra la storia; al centro poi la luce che è Gesù, speranza del mondo. Questa notte come i discepoli di Emmaus, su cui abbiamo meditato nel nostro cammino sinodale, consegniamo al Risorto dubbi e facciamo nostra la preghiera che nasce dal cuore: “Resta con noi, Signore, perché si fa sera”.
Vorrei fare mia e vostra una preghiera di don Luigi Verdi:
“Resta con noi,
al termine di ogni giorno triste,
quando la notte ci rincorre e sentiamo la tua assenza.
Resta con noi,
quando viviamo solo con me stesso e col mio segreto
e cammino verso una bellezza velata e lontana.
Resta con noi,
quando la stanchezza è pesante e ci vince,
quando il pianto è più penetrante e amaro.
Resta con noi,
quando gli occhi innamorati guardano troppo lontano
e faticano a vederti presente.
Resta con noi,
quando sono deluso come i discepoli sulla via di Emmaus,
e non so attendere neppure tre giorni prima di disperare.
Amen.