TE DEUM – 31 dicembre 2020

Mi ha fatto pensare un articolo di Giorgio Paolucci sull’Avvenire di ieri in cui sosteneva, contrariamente a quanto tutti sentiamo dire, che il 2020, non è un anno da dimenticare, ma un anno da ricordare, perché ci ha dato la possibilità di imparare molto. “Il coronavirus con la sua forza ha dimostrato la nostra fragilità, ha smantellato certezze dalle fondamenta deboli, ha ridimensionato i deliri di onnipotenza che più o meno consapevolmente avevamo coltivato, ci ha costretto a capire che non siamo padroni della nostra esistenza”. Abbiamo molto sofferto, e stiamo ancora soffrendo, per le conseguenze di una inimmaginabile pandemia, ma abbiamo anche avuto la possibilità di imparare molto. Abbiamo potuto imparare, come spesso ripete papa Francesco, che nessuno si salva da solo, che l’uomo è una relazione, che non si può vivere per se stessi, che la cosa più bella è prenderci cura gli uni degli altri! Una cura, ben espressa da questi versi di una canzone di Simone Cristicchi, parole che possono essere rivolte alla persona amata, ma anche ad un amico, ad un genitore o ad un figlio, e addirittura possono sembrare anche «una preghiera che Dio rivolge agli uomini». 

Abbi cura di me
Il tempo ti cambia fuori, l’amore ti cambia dentro
Basta mettersi al fianco invece di stare al centro
L’amore è l’unica strada, è l’unico motore
È la scintilla divina che custodisci nel cuore…

Abbi cura di me
Che tutto è così fragile
Adesso apri lentamente gli occhi e stammi vicino
Perché mi trema la voce come se fossi un bambino
Ma fino all’ultimo giorno in cui potrò respirare
Tu stringimi forte e non lasciarmi andare.
Abbi cura di me

Papa Francesco, nel suo messaggio per la giornata della pace, ricorda che la grande crisi sanitaria, economica ed umana che ha segnato il 2020, ci insegna “l’importanza del prenderci cura gli uni degli altri e del creato, per costruire una società fondata su rapporti di fratellanza”. Per questo motivo ci invita a riflettere sul tema: “la cultura della cura come percorso di pace”. Cultura della cura per debellare la pseudo cultura dell’indifferenza, dello scarto e dello scontro, spesso prevalente”

Ora questa ‘cultura della cura’ possiamo impararla da Dio. Il libro dei Numeri, che abbiamo ascoltato nella prima lettura, ci ricorda come la cura di Dio si esprime innanzitutto nella benedizione e nella custodia:

Il Signore parlò a Mosè e disse: «Parla ad Aronne e ai suoi figli dicendo: “Così benedirete gli Israeliti: direte loro: Ti benedica il Signore e ti custodisca”.

In un mondo che ci abitua continuamente a ‘dire-male’, come è bello sapere che Dio ‘dice-bene’ di noi! Egli ci custodisce. E questa custodia si manifesta in modo particolare in Gesù: “quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare quelli che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l’adozione a figli”.

Ci potremmo chiedere come può il Signore ‘dire-bene’ di noi, mentre continuiamo a perdere la libertà dietro gli idoli di sempre?! Fortunatamente lo sguardo del Signore si posa prima sul positivo, comunque presente in ogni suo figlio, opera delle sue mani!

In un corso di formazione per i catechisti si è parlato della “profezia che si autoavvera”. In poche parole, Watzlawick, afferma che la predizione e l’evento sono tra loro in rapporto circolare, per cui se cominciamo a pensare che le cose andranno male e che tutto andrà a finire come temiamo, allora ci sono buone possibilità che questo accada. Un esempio per comprendere: se una persona pensa “non piaccio a nessuno”, assumerà un atteggiamento sospettoso, difensivo, o aggressivo verso gli altri, inducendoli a reagire con antipatia al suo comportamento. La premessa da cui il soggetto era partito sarà confermata.

Penso che questo sia il nostro grosso problema. Siamo abituati a vedere sempre il male! Gli stessi social spesso ci educano a vedere solo il negativo! Occorrerà un cambio di prospettiva e cioè assumere un atteggiamento positivo, di fiducia, imparare a vedere il bene che sempre si nasconde tra le pieghe di una storia sofferta, pur conservando una buona dose di realismo. Come il Signore, sarà bene cominciare sempre dalla benedizione, cioè dal ‘dire bene’ e dal custodire.

Tutto questo per dire che se pensiamo alla pandemia che ha segnato questo anno che sta per finire, possiamo vedere anche tutto il bene vissuto. Quanta tenerezza e attenzione ha risvegliato verso gli anziani?! Quanta solidarietà sopita si è messa in moto in tantissima gente?! Quante domande di senso sono tornate di fronte al mistero della morte, aprendo l’orizzonte della risurrezione?!

Da ogni difficoltà, nasce una nuova possibilità! Non archiviamo allora questo 2020, ma ricordiamolo perché comunque ci ha insegnato delle cose, come dice papa Francesco nel bel libro “Torniamo a sognare”: cerchiamo di uscire da questa crisi con la consapevolezza che nessuno si può salvare da solo, con l’impegno a ridisegnare l’economia in modo da offrire a tutte le persone una vita dignitosa e al tempo stesso proteggere e rigenerare la natura e, abbracciando la cultura  del servizio, della cura, della compassione, lasciandoci toccare dalla sofferenza, che c’è dentro e attorno a noi.

Tutto ciò sarà possibile se, come i pastori di Betlemme cercheremo Gesù, se ci lasceremo prendere dallo stupore di fronte allo smisurato amore di Dio, se torneremo alla quotidianità con la lode e la gratitudine, sulla bocca e nel cuore.

 Dice il Vangelo “Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore”. In questi giorni di festa troviamo anche noi un po’ di tempo per “esaminare, interpretare, cercare il vero senso delle cose”, mentre ci prendiamo cura di chi ci sta vicino.

Alziamo, ancora una volta, lo sguardo verso il quadro posto sopra il tabernacolo: lasciamo che sia la tenerezza ad avere l’ultima parola, solo la bellezza e la misericordia ci aiuteranno a decentrarci e a trascenderci, fino ad accogliere, sulle nostre mani, quel Dio che spesso si nasconde nei volti più familiari, come in quelli più sfigurati. Pian piano, nascerà dal basso, un mondo diverso, quello che attendiamo, noi lo speriamo!