ABBI CURA – 1 gennaio 2020 – 54° giornata mondiale della pace

Abbi cura di me
Il tempo ti cambia fuori, l’amore ti cambia dentro
Basta mettersi al fianco invece di stare al centro
L’amore è l’unica strada, è l’unico motore
È la scintilla divina che custodisci nel cuore…

Abbi cura di me
Che tutto è così fragile
Adesso apri lentamente gli occhi e stammi vicino
Perché mi trema la voce come se fossi un bambino
Ma fino all’ultimo giorno in cui potrò respirare
Tu stringimi forte e non lasciarmi andare.
Abbi cura di me

Sono alcuni versi di una canzone di Simone Cristicchi, parole che possono essere rivolte alla persona amata, oppure dette ad un genitore o a un figlio, ma potrebbero essere anche parole di «una preghiera che Dio rivolge agli uomini». 

Abbi cura! E’ l’invito che arriva da Papa Francesco, in questo primo giorno dell’anno, infatti ha scelto come tema della 54esima giornata mondiale della pace: “la cultura della cura come percorso di pace”. Proprio la grande crisi sanitaria, economica ed umana, che ha segnato il 2020 a motivo della pandemia, ci insegna “l’importanza del prenderci cura gli uni degli altri e del creato, per costruire una società fondata su rapporti di fratellanza”. La ‘cura’ per debellare la psedo-cultura dell’indifferenza, dello scarto e dello scontro, spesso prevalente”.

La Scrittura racconta di come Dio, fin dall’inizio, si prende cura di noi. Il libro dei Numeri, che abbiamo ascoltato nella prima lettura, afferma che la cura del Signore si esprime nella benedizione e nella custodia:

Il Signore parlò a Mosè e disse: «Parla ad Aronne e ai suoi figli dicendo: “Così benedirete gli Israeliti: direte loro: Ti benedica il Signore e ti custodisca”.

In un mondo in cui, si diventa sempre più esperti nel ‘dire male’, è bello sapere che Dio ‘dice bene’ di noi e ci custodisce. Questa custodia si è manifestata in modo particolare in Gesù: “quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare quelli che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l’adozione a figli”. Davvero Dio, padre buono, si prende cura dei suoi figli , e noi possiamo imparare da Lui a prenderci cura dei fratelli, delle sorelle e del creato.

La Chiesa poi, attraverso la dottrina sociale, ci insegna la ‘grammatica della cura’ che consiste nella: “promozione della dignità di ogni persona umana, la solidarietà con i poveri e gli indifesi, la sollecitudine per il bene comune, la salvaguardia del creato”.

Ha scritto il giornalista Giorgio Paolucci: “Il coronavirus con la sua forza ha dimostrato la nostra fragilità, ha smantellato certezze dalle fondamenta deboli, ha ridimensionato i deliri di onnipotenza che più o meno consapevolmente avevamo coltivato, ci ha costretto a capire che non siamo padroni della nostra esistenza”. Abbiamo molto sofferto, e stiamo ancora soffrendo molto, ma abbiamo avuto anche la possibilità di imparare molto, imparare che nessuno si salva da solo, che l’uomo essenzialmente è relazione, che non si può vivere per se stessi, che la cosa più bella che possiamo fare è prenderci cura di qualcuno!

Ora la cultura della cura richiede un processo educativo che investe prima di tutto la famiglia, dove si impara a vivere in relazione e nel rapporto reciproco; e poi tutti coloro che sono preposti all’educazione, come la scuola, i soggetti della comunicazione sociale, le istituzioni, tutti chiamati a veicolare un sistema di valori fondato sul riconoscimento della dignità di ogni persona e di ogni popolo; infine le religioni chiamate ad animare la solidarietà, a promuovere il rispetto delle differenze, a vivere l’accoglienza dei fratelli più fragili.

Dice il Vangelo che, “Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore”.  Come è necessario anche per noi, “esaminare, interpretare, cercare il vero senso delle cose”, non solo leggere ciò che accade, ma anche discernere per poi agire concretamente, per curare e per riparare.

A tal proposito è interessante tener conto di quella che Watzlawick chiama la “profezia che si autoavvera”. In poche parole se cominciamo a pensare che le cose andranno male e che tutto andrà a finire come temiamo, allora ci sono buone possibilità che questo accada. Per comprendere: se una persona pensa “non piaccio a nessuno”, assumerà un atteggiamento sospettoso, difensivo, o aggressivo verso gli altri, inducendoli a reagire con antipatia al suo comportamento. La premessa da cui il soggetto era partito sarà confermata. Così se un marito pensa che sua moglie lo tradisce, comincerà ad essere geloso esageratamente, ad insospettirsi, a trattarla male, fino a quando la moglie stufa lo tradirà davvero….

Se pensiamo alla pandemia, magari ci viene in mente la morte, la malattia, la crisi economica, cose vere, ma quanta tenerezza e attenzione ha risvegliato verso gli anziani? Quanta solidarietà sopita si è messa in moto in tantissima gente? Quante domande di senso sono tornate di fronte al mistero della morte, aprendo l’orizzonte, per troppo tempo dimenticato, della risurrezione?

Occorre un cambio di prospettiva e cioè abbandonare la ‘negatività’, per assumere un atteggiamento positivo, di fiducia, per partire dal bene, che sempre si nasconde tra le pieghe di una storia sofferta. Come fa il Signore con noi, sarà bene cominciare dalla benedizione, cioè dal ‘dire bene’, dire bene della propria famiglia, dire bene della Chiesa, dire bene del vicinato…per poi ‘custodire’!

Sintonizziamo il nostro sguardo sulla realtà con quello dei pastori del vangelo: cerchiamo Gesù perché solo con Lui tutto questo è possibile: senza di Lui non possiamo fare nulla; lasciamoci prendere dallo stupore di fronte allo smisurato amore di Dio; torniamo alla quotidianità, non con la lamentela, ma con la lode e la gratitudine, sulla bocca e nel cuore.

Ed alziamo, ancora una volta, lo sguardo verso il quadro posto sopra il tabernacolo: lasciamo che sia la tenerezza ad avere l’ultima parola, facciamo spazio alla bellezza e alla misericordia, ci aiuteranno a decentrarci e a trascenderci, così da accogliere, sulle nostre mani, ed accarezzare quel Dio che spesso si nasconde nei volti più familiari, come in quelli più sfigurati. Pian piano, nascerà dal basso, un mondo diverso, quello che attendiamo. Noi lo speriamo!

E vorrei concludere proprio con una poesia sulla Speranza di Alexis Valdes, attore e comico cubano, con cui si chiude il bel libro del papa “Tornare a sognare”.

Quando passerà la tempesta

e le strade si saranno spalancate

e saremo i sopravvissuti

di un naufragio collettivo,

con il cuore in lacrime

e il destino benedetto

ci sentiremo felici

soltanto per essere vivi.

E daremo un abbraccio

al primo sconosciuto

lodando la fortuna

che c’è ancora un amico.

E poi ricorderemo

tutto quello che abbiamo perduto

e finalmente impareremo

tutto ciò che non avevamo mai imparato.

E non invidieremo più

perché tutti hanno sofferto.

E non saremo inerti

ma più compassionevoli.

Ciò che appartiene a tutti varrà più

di tutto quanto ci eravamo procurati.

Saremo più generosi

e molto più coinvolti.

Capiremo quanto sia fragili

essere vivi.

Suderemo empatia

per chi c’è e per chi se n’è andato

Ci mancherà il vecchio

che chiedeva un euro al mercato,

non ne hai mai saputo il nome

ma era sempre al tuo fianco.

E forse quel povero vecchio

era il tuo Dio travestito.

Ma non gli hai mai chiesto il nome,

eri sempre di fretta.

E tutto sarà un miracolo

e tutto sarà un patrimonio

e rispetteremo la vita,

la vita che abbiamo guadagnato.

Quando passerà la tempesta

ti chiedo, Dio, con vergogna,

di rifarci migliori

come ci avevi sognati.