QUIRO LIO – Per riflettere un po’ …

Condivisione di pensieri …per riflettere un po’ sulla vita delle nostre comunità.

Viviamo un passaggio difficile a motivo della pandemia, un tempo segnato dalla sofferenza, legata alla possibilità di contagio, alla crisi economica, al distanziamento sociale, ma paradossalmente anche un tempo privilegiato per ripensare la propria storia, le proprie relazioni, le proprie responsabilità, dando spazio allo studio, alla preghiera e al confronto.

Già Sant’Agostino diceva a proposito del passaggio epocale che viveva il suo tempo: Non è la fine del mondo. Ma la fine di un mondo. E questo ad intraprendere nuove strade, ad iniziare processi che non sappiamo quando dureranno e dove ci porteranno.

Costretto a casa dalla Zona rossa, e mi è capitato di rileggere l’ultimo capitolo del libro di Timothy Radcliffe dal titolo “Una verità che disturba” ( ed Emi). Mi è sembrato di trovare tra le righe, motivi di riflessione interessanti e qualche suggerimento per affrontare la storia che Dio ci sta donando.

L’autore, già maestro generale dell’ordine domenicano, prende lo spunto da un passo del secondo libro dei Re: “In quei giorni Ezechia si ammalò mortalmente. Il profeta Isaia, figlio di Amoz, si recò da lui e gli disse: «Così dice il Signore: «Da’ disposizioni per la tua casa, perché tu morirai e non vivrai»» ( 2 Re 20,1; Is 38,1).Egli scrive: “dare disposizione per la propria casa non significa fare le pulizie di primavera. Vuol dire prepararsi a morire”. Un’indicazione interessante per questo tempo di morte e resurrezione: “il corpo di Cristo sta morendo a un determinato modo di essere chiesa, per rinascere e rinnovarsi”. Riprendendo un’espressione di papa Francesco detta spesso ai giovani “Quiro lio” (mi piace il casino) l’autore afferma che paradossalmente oggi ci serve più ‘disordine’. Può sembrare strano ma davvero a volte l’eccesso di ordine è letale. Egli riporta una citazione di Samuel Beckett: “Io amo l’ordine. E’ il mio sogno. Un mondo in cui tutto sia silenzioso e immobile e ogni cosa al suo posto estremo, sotto la polvere estrema” (Finale di partita, Euinaudi, 1990), per affermare che questa ‘cultura del controllo’, non porta da nessuna parte, anzi è da guardare con un certo allarmismo la rigidità di tanta gente religiosa, per il semplice motivo che tutto ciò si oppone all’imprevedibile azione dello Spirito Santo.

Scrive papa Francesco nella Evangelii Gaudium: “Per mantenere vivo l’ardore missionario occorre una decisa fiducia nello Spirito Santo, perché Egli «viene in aiuto alla nostra debolezza» (Rm 8,26)… È vero che questa fiducia nell’invisibile può procurarci una certa vertigine: è come immergersi in un mare dove non sappiamo che cosa incontreremo. Io stesso l’ho sperimentato tante volte. Tuttavia non c’è maggior libertà che quella di lasciarsi portare dallo Spirito, rinunciando a calcolare e a controllare tutto, e permettere che Egli ci illumini, ci guidi, ci orienti, ci spinga dove Lui desidera. Egli sa bene ciò di cui c’è bisogno in ogni epoca e in ogni momento. Questo si chiama essere misteriosamente fecondi!” (EG 280)Si tratta davvero di mettersi in ascolto dello Spirito che anche oggi parola alle Chiese, per iniziare processi che danno spazio ad una sinodalità reale, non semplicemente scritta sui documenti; per mettere in gioco, a livello pastorale, quella creatività capace di sconvolgere gli schemi di sempre; per scommettere sul nuovo, che spesso ci fa troppo paura, dove al centro non c’è più la ‘struttura’, da conservare a tutti i costi, ma la persona da promuovere, dando la possibilità ad ognuno, prete, laico, religioso, di trafficare i propri talenti, mettendoli a servizio dell’intero popolo di Dio e dei più poveri.

Nel capitolo viene riportata anche la citazione del gesuita John O’Malley che definisce il Concilio Vaticano II un ‘evento linguistico’ in cui “bussarono alla porta, e furono ammesse alla festa, anche la libertà, l’uguaglianza e la fraternità , assieme ad altri ospiti un tempo sgraditi” (Che cosa è successo al vaticano II, vita e pensiero 2020).Tutto questo costringe a ripensare la vita delle nostre comunità cristiane, tornando ad un modello di Chiesa sempre più trinitario che aiuta a ricentrare tutto sulla relazione! Una relazione tra uguali e distinti, dove tutto è vissuto all’insegna di un amore oblativo, un amore così smisurato, così esagerato da riversarsi sul mondo intero.

A tal proposito diventa importante la comunicazione anche per evitare chiacchiere e pettegolezzi che scaturiscono da incomprensibili silenzi. Una comunicazione che, in un tempo in cui non è possibile incontrarsi in presenza, utilizza tutti gli strumenti, come ad esempio fa la scuola o il mondo del lavoro. Il fatto che operatori pastorali anziani non sono avvezzi all’utilizzo dei social, può essere l’occasione propizia per allargare finalmente la cerchia e chiedere loro di affiancare dei giovani che, accompagnati possono mettere a disposizione le loro competenze tecniche per tutta la comunità.

Certamente ciò contribuirà a vivere necessari passaggi, come quello dal monologo al dialogo a tutti i livelli, dal sentire all’ascolto attivo, dall’accentramento dei servizi in qualche persona al decentramento per una chiesa tutta ministeriale. E’ chiaro che solo Gesù è il nostro Maestro, solo lui sa cosa c’è dentro l’uomo. Scriveva Giovanni Paolo II: “Cristo, Redentore del mondo, è Colui che è penetrato, in modo unico e irrepetibile, nel mistero dell’uomo ed è entrato nel suo «cuore». Giustamente, quindi, il Concilio Vaticano II insegna: “In realtà, solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo” (RH 4).

Ed allora nessuno possiede la verità, ma va cercata insieme attraverso l’esercizio del discernimento comunitario che passa anche, ma non solo, attraverso gli organismi di partecipazione. Una verità che necessariamente deve attraversare il cuore per veicolare la misericordia di Dio, perché la fede non passa per la conoscenza di una dottrina o per l’osservanza di una morale, ma per l’esperienza dell’essere amati e dell’amare la persona di Gesù.