PRENDERSI CURA OGGI DELLE RELAZIONI IN UNA COMUNITA’ – Incontro del Consiglio pastorale 27.04.2021

Alcune osservazioni riprese da un articolo di Stefano Bucci per il confronto nel

Consiglio Pastorale.

La situazione pandemica che abbiamo vissuto e che stiamo ancora vivendo ci chiede un cambio di paradigma nella vita della comunità. Dobbiamo riconoscere che oggi la comunità cristiana per molte persone non è più una realtà significativa, cioè non incide più sulla realtà quotidiana.

  1. Ricentrare sul tempo più che sullo spazio.

Per molto tempo il legame di una persona con la comunità cristiana è stato determinato dal territorio. Si apparteneva ad una parrocchia, ad esempio, perché si abitava in un paese o in un quartiere. Era un modello di comunità fondato sullo ‘spazio’. Ma, ci dice Evangelii Gaudium, oggi ‘il tempo è superiore allo spazio’, occorrerà quindi mettere in atto una conversione: ‘dal territorio al terreno dell’umano’ che comporta innanzitutto puntare sulla cura delle relazioni e non sui confini geografici. Proviamo allora a ripensare ai quattro pilastri della comunità cristiana alla luce di questo nuovo paradigma.

Parola: ripensare le prassi di ascolto della Parola e di annuncio in modo che non si realizzino solo in una modalità ‘cognitiva’, che non tocca in profondità il vissuto delle persone. La prima relazione, che favorisce una cura delle relazioni comunitaria, è la relazione fondante con il Signore Gesù, Risorto e Vivo: per cresce in questa relazione è necessario passare dall’insegnamento all’apprendimento. Oggi non viene più accolto un annuncio caratterizzato dallo stile dell’insegnamento. Non si tratta di insegnare qualcosa ma di apprendere insieme condividendo un’esperienza. Da qui la scelta della narrazione. Se vogliamo crescere nello stile della cura delle relazioni occorre favorire nelle comunità nuovi spazi di narrazione condivisa dell’esperienza di fede. Sarà necessario allora trovare nuove forme di narrazione condivisa per suscitare appartenenza e apprendere insieme alla luce della Parola di Dio.

Fraternità: assistiamo oggi ad un ‘restringimento della fraternità’ entro gli spazi angusti e limitati delle nostre parrocchie. A volte limitiamo questo stile alle persone che condividono con noi un qualche tipo di servizio in parrocchia, se va bene con quelle che frequentano la celebrazione domenicale. Ogni battezzato è chiamato invece ad allargare i propri spazi di fraternità, praticando questo stile con gli altri, anche se non fanno parte della comunità cristiana in senso stretto: fratelli tutti! Per fare questo è necessaria oggi una seconda conversione, capace di favorire la cura delle relazioni a tutto tondo, quella del passaggio da una logica quantitativa ad una logica qualitativa. Io non sono chiamato alla fraternità solo con gli altri parrocchiani (logica dello spazio), ma sono chiamato a vivere la fraternità come paradigma, con tutti (logica del tempo).

Questo motiva una ulteriore opzione a favore della cura delle relazioni: la scelta del piccolo gruppo. Non è possibile vivere una fraternità concreta in grandi spazi, grandi numeri, assemblee numerose di persone. Questi ambienti (spazi) non sono adeguati oggi per favorire relazioni calde, mentre un piccolo gruppo, nel tempo, può costituire buone opportunità di condivisione e di cura.

Frazione del Pane: le nostre celebrazioni eucaristiche sono luoghi (spazi) esclusivi. Affinché il nuovo paradigma della cura delle relazioni penetri significativamente questa esperienza comunitaria sarà necessario passare dalla logica dell’indifferenza a quella dell’ospitalità. Anche una persona che non avesse mai frequentato una celebrazione eucaristica dovrebbe sentirsi a casa.

Questa attenzione chiede di investire nelle comunità cristiane sulla scelta di uno specifico ministero dell’accoglienza (interessante quanto stiamo vivendo con l’accoglienza in questo periodo) per incarnare uno stile di ospitalità tangibile. Ciò che crea una appartenenza / presenza significativa in una comunità non è ciò che faccio o quanto sono attivamente coinvolto nei diversi servizi che servono al suo auto mantenimento, ma come mi sento in quel contesto, se sono valorizzato con i miei talenti, se le mie opinioni vengono considerate. E questa attenzione non può ricadere completamente sulle spalle del presbitero, ma deve costituire uno stile diffuso che caratterizza tutta la comunità.

Preghiera: Gesù non si è limitato a consegnare una formula per introdurre i suoi discepoli alla preghiera (paradigma dello spazio), ma gli ha dato l’esempio, ha condiviso con loro molti momenti di preghiera, ha esplorato con essi l’intimità del loro cuore, li ha portati in luoghi solitari, per favorire la crescita della loro interiorità (paradigma del tempo). Non è sufficiente oggi invitare le persone a pregare, ma occorre passare da una logica di invito a una logica di accompagnamento. Il dinamismo dell’accompagnamento si traduce in uno stile di reciprocità ed è costitutivo per l’esperienza spirituale cristiana. Non si cammina da soli nella vita spirituale: ogni battezzato è un accompagnatore accompagnato.

Per questo è fondamentale oggi riconfigurare nuove forme di accompagnamento che siano messe in atto non solo da presbiteri, ma anche da laici maturi nella fede. Anche la scelta dell’accompagnamento deve tradursi concretamente in una forma ministeriale: in Christus Vivit Papa Francesco – riprendendo il documento finale del Sinodo dei Vescovi sui Giovani, la Fede e il Discernimento – ha messo in luce l’opportunità di trovare nuove forme relative a tre specifici livelli di accompagnamento. Un accompagnamento comunitario, dove è tutta la comunità che accompagna la persona nel suo cammino di vita condividendo con essa l’esperienza della fede; un accompagnamento dei presbiteri che in qualche modo deve poter trovare nuove espressioni e forme; un accompagnamento di laici e consacrati che possiedono il carisma dell’ascolto e che potrebbero ricevere un riconoscimento ministeriale istituzionale.

SOGNARE

Ci accompagna in questo momento la figura di San Giuseppe che nella lettera di papa Francesco ci viene presentato alle prese con il sogno. Pastoralmente questa capacità di sognare e di allargare gli orizzonti si traduce nella ricerca di un nuovo paradigma dell’azione pastorale. È tempo di abbandonare le routine conosciute e le soluzioni scontate, per muoversi con coraggio verso una terra incontaminata, pur senza sapere cosa ci aspetterà.

ACCOMPAGNARE

In secondo luogo Giuseppe è colui che accompagna il figlio e la madre dapprima in Giudea e poi in Egitto. Il padre sta accanto, sostiene e orienta, ma non si sostituisce all’altro. L’accompagnamento pastorale è uno stile di prossimità che si mette al servizio dell’altro, fa crescere e valorizza i suoi doni. Giuseppe, accompagnatore – accompagnato, è un segno luminoso di sinodalità per tutta la Chiesa.

LASCIAR ANDARE

Il Vangelo di Luca ci consegna un terzo tratto della figura di San Giuseppe che indica una direzione importante della paternità: il padre introduce al Tempio il figlio in alcune tappe importanti dell’esistenza. La paternità pastorale richiede di ‘lasciare andare’ i figli: molte prassi pastorali in atto oggi si concentrano nel cercare di trattenere, nel tentativo di un controllo. La direzione indicataci da Giuseppe è quella della libertà.