QUALE CAMMINO? – Introduzione al Consiglio Pastorale del 04.07.2022

È arrivata l’estate. Lo dicono le nostre colline con le loro macchie di giallo che parlano di mietitura. Anche il percorso sinodale, di questo primo anno, delle nostre Chiese è arrivato alla sintesi. Come ogni contadino attende il raccolto, così anche noi siamo desiderosi di conoscere quanto è emerso attraverso i gruppi di ascolto. Senz’altro è stata una grazia, dopo la chiusura del tempo pandemico, potersi incontrare e mettersi in ascolto. È vero che le persone coinvolte sono state quelle più vicine alla Chiesa, tra l’altro non è un dato scontato che vengono ascoltate, ma il tempo ristretto non ha permesso di fare altrimenti. A livello locale e a livello nazionale, come ha avuto modo di dire Mons. Bulgarelli, vien fuori la voglia di Parrocchia, anche se non come è in questo momento. Si desidera una parrocchia non tanto come luogo dove fare delle cose, ma dove vivere relazioni autentiche. Una comunità dove ci si ascolta senza giudicare, ci si accoglie e ci si prende cura gli uni degli altri, si vive maggiormente la corresponsabilità tra laici e clero, ci si innamora di questa nostra storia, ci si sente veramente a casa. Per essere sintetici c’è voglia di comunità affettive. Tutto questo riguarda anche la nostra comunità: si corre sempre il rischio di vivere nella parrocchia come nei condomini, ognuno occupa il suo spazio, ha i suoi percorsi, partecipa a quello che vuole…

Ora se con il grano raccolto si fa il pane, cosa si farà con quanto emerso dai tavoli sinodali?

Innanzitutto non possiamo dimenticare di essere dentro la stagione pandemica che ci ha insegnato in particolare il valore dei gesti, capaci di evangelizzare più di tante parole. Dentro questo scenario sarà da recuperare la bellezza della vita ecclesiale, non riducibile soltanto alla dimensione sacramentale, ma come riscoperta di gioia del Vangelo e di carità. Il grande lavoro sarà quello di riuscire a portare l’esperienza di fede su quella che è la capacità di amare di ciascuno. Un’immagine interessante utilizzata da Mons. Bulgarelli è quella della Chiesa che non fa prevalere le esigenze dell’agenda pastorale sulle necessità della gente.

Ci attende ancora un anno in cui esercitarci nell’ascolto, senza giudizio e senza pregiudizio, senza paura di prendere la parola e senza pensare di perdere tempo. Certo non dobbiamo perdere di vista il senso della sinodalità che, secondo Papa Francesco, consiste nello scambiarsi desideri, sogni, speranze, guardando avanti, perché la risurrezione avviene ogni giorno. Tutto questo va fatto utilizzando un metodo speciale, che stiamo imparando, quello del discernimento comune. Un metodo che ci ha aiutato ad evitare critiche distruttive, chiacchiericcio e polemiche sterili. Chiaramente è da far prevalere lo stile di Dio che, come ricorda continuamente il papa, è fatto di misericordia, tenerezza e compassione, scommettendo sulla gratuità

Non è più il tempo dei programmi. Ma come ripete spesso papa Francesco occorre avviare dei processi dentro una società dove è evidente la crisi della fede e l’indifferenza religiosa. Don Francesco Cosentino afferma in un articolo che oggi sono molte le questioni aperte ma, per offrire una visione sintetica, possono essere raggruppate in due tesi di fondo: la fine della cristianità e la scarsa recezione del Concilio Vaticano II.

Di certo, l’antico mondo culturale nel quale la religione abitava a pieno titolo, plasmando la coscienza personale e collettiva e influenzando le istituzioni e le forme del vivere sociale, è definitivamente tramontato. La novità degli ultimi tempi è rappresentata dalla figura e dal magistero di papa Francesco che, già con Evangelii gaudium, ispira e invita a un cambio di paradigma: “da un cristianesimo della resistenza a un cristianesimo dell’immaginazione”. Infatti, chi presuppone un mondo, una società e un tessuto familiare e sociale ancora cristiani, di fatto resiste: pensa che, la Chiesa e la sua pastorale abbiano bisogno solo di qualche ritocco estetico e di qualche aggiustamento formale, senza mettere in discussione le strutture e le forme del credere ecclesiale.

Papa Francesco invita ad una «nuova immaginazione del possibile». Lo ha indicato dall’inizio, parlando di conversione pastorale in chiave missionaria.

Il Concilio Vaticano II inoltre non sembra ancora del tutto recepito. Serena Noceti ne ha scritto su Concilium, affermando che Evangelii gaudium ci provoca a misurarci con la nuova visione ecclesiologica emersa nel Concilio Vaticano II: non si tratta di fare dei ritocchi ma una riforma strutturale, non basta cambiare le idee o le norme, ma “deve essere ridisegnata la forma relazionale e promosso un cambiamento nell’istituzionalizzazione delle relazioni ecclesiali”.

Un spunto interessante ci è offerto dalla lettera dell’arcivescovo di Torino, mons. Roberto Repole, in cui invita a ripensare la presenza ecclesiale sul territorio. Egli afferma che nella convinzione di trovarci nel mondo «cristiano» di prima, a diversi livelli investiamo risorse in attività pastorali tradizionali che ci sembra non portino frutto, “laddove si tratterebbe di osare qualche percorso nuovo”, investendo altrove.

C’è urgenza di “ipotizzare modi nuovi di essere Chiesa nel territorio, di avanzare proposte per “cammini sperimentali”. Ciò è possibile solo nella corresponsabilità ecclesiale. Ci chiediamo quali possono essere per la nostra comunità? La visita pastorale che il Vescovo farà alla nostra parrocchia il prossimo mese di ottobre può diventare l’occasione per confrontarsi con il pastore della nostra Chiesa e tra di noi su quali processi avviare e come.